


Rabat è la seconda più grande città del Marocco. Attualmente capitale politica e amministrativa del paese, Rabat fu costruita sull’Oceano Atlantico dal Sultano Almohade Yacoub Al Mansour. La città fu il rifugio di numerose famiglie arabe che abbandonarono l’Andalusia dopo il 1492 e conobbe il suo periodo di prosperità soltanto con l’intronizzazione dei Sultani Alawiti.
I tappeti sono sempre stati dei beni di consumo domestico. Le famiglie benestanti o quelle che non praticavano la tessitura utilizzavano i servizi di tessitrici esperte. Prima della creazione del suq dei tappeti cittadini (tappeti di Rabat) situato rue des Consuls, i tappeti dovevano essere ordinati, presso una tessitrice qualificata, in base alle dimensioni della stanza che doveva accogliere il tappeto. In genere, le dimensioni di un tappeto non superavano 3 metri di lunghezza per 2 metri di larghezza. I telai metallici consentirono, più tardi, di realizzare tappeti di maggiori dimensioni.
La storia del tappeto di Rabat Alcuni cronisti ritengono che i tappeti di Rabat, detti tappeti “R'bati”, provengano dall’Andalusia: probabilmente furono portati, tra altri preziosi ricordi, dai Gharnatis che abbandonarono la Spagna alla fine del XV secolo stabilendosi a Rabat, Fès e Tétouan. Tale posizione è giustificabile tenuto conto della prossimità con la penisola iberica e dei legami che da sempre hanno unito le due comunità. Prosper Ricard, autore del primo Corpus dei Tappeti Marocchini, sulla base del paragone tra i tappeti di Rabat e quelli dell’Asia Minore (Anatolia e Persia), studiati dai ricercatori tedeschi e inglesi, nonché sul confronto rispetto a l’incorniciatura, i colori e i motivi, sostiene che il tappeto di Rabat sarebbe stato introdotto in Marocco dai Turchi nel XVIII secolo durante la loro occupazione dell’Algeria. In ogni caso, è certo che il tappeto si confezionava già nel XVIII secolo a Rabat e nella città di Salé: in un tappeto detto Chiadma è tessuta la data dell’anno egiriano 1202 (corrispondente al 1708).
Già dall’inizio del XVI secolo, Mohammed Ben Hassan AI Ouazzan, detto “Leone l’Africano”, descrivendo la “Kissaria” di Fès riferiva “….Là vicino, in alcune piccole botteghe, si vendono all’asta tappeti e copriletti”.
Lo storico Abou Abbes Naciri raccontò nel suo libro “AI Istiqssa” che alla fine del suo regno, il Sultano Alawita Moulay El Hassan (1873-1894), volendo ringraziare i capi di Stato europei delle felicitazioni manifestate in occasione della sua ascesa al trono del Marocco, inviò loro dei presenti destinati al Presidente della Repubblica francese Mac Mahon, ai Re del Belgio e d’Italia, rispettivamente Leopoldo II e Vittorio Emanuele II, ed alla Regina Victoria d’Inghilterra. Ogni capo di Stato di questi Paesi ricevette, tra altri oggetti, sei tappeti di Rabat, mentre i rispettivi capi di Governo e i Ministri degli Affari Esteri ne ricevettero due. Jean Louis Miège, scrisse a proposito del commercio della lana tra il Marocco e la Francia negli anni 1860-1866: “il valore dei tessuti di lana e dei tappeti esportati va da 350 a 550.000 franchi all’anno. Un forte incremento caratterizza queste vendite nel 1863”. Il tappeto deve essere considerato, a questo punto, in senso più ampio includendo i tappeti a punti annodati o semplici hanbel. L’hanbel e un pezzo interamente tessuto, che può avere due o tre bande di punti annodati, come nel caso dei “hanbal” di Salé.
La tradizione orale Oltre alla legenda conosciuta da tutte le tessitrici esperte di Rabat e di Salé: la quale racconta che una cicogna avrebbe portato un frammento di tappeto da un paese lontano per riempire il suo nido e che lo stesso pezzo di tappeto cadde nel pario di una casa di Rabat, fornendo il primo modello alle tessitrici di Rabat e Salé; la tradizione attribuisce la creazione del tappeto di Rabat a due giovani ragazze, considerate da allora, dalla saggezza popolare, come sante: si tratta di “Lalla Oum Knabech” e “Lalla Zineb Lahdia”.
Per quanto riguarda la prima, le madri raccontavano alle loro figlie che la santa donna cominciava un tappeto al mattino e lo terminava di sera. Per quanto concerne la seconda, si riporta che essa filava di giorno e tesseva di notte. Le giovani ragazze che volevano acquisire una grande abilità delle dita si recavano prima al santuario della prima santa; dove mangiavano sette acini d’uva secca e bevevano un sorso di latte nel quale era stato immerso un fiocco di lana preso da un tappeto in corso di realizzazione. In seguito, esprimevano i loro desideri e pregavano come segue: “Lalla Oum Knabech, insegnami il camino della comprensione, conducimi sulla giusta strada”. Le giovani ragazze si dirigevano poi verso la tomba della seconda santa, accendevano un cero e pronunciavano: “Lalla Zineb, vorrei tessere un bel tappeto; ispirami, dirigi le mie dita affinché il mio tappeto sia il più bello”.
Altre tessitrici raccontano che una terza santa, “Lalla Touhamia”, lavorava alla luce delle stelle e avrebbe composto numerosi motivi, in particolare: “Kronfla” (chiodo di garofano), “m'habka” (mazzo di fiori) e “chejra” (albero). Le giovani ragazze, che volevano un tappeto ben decorato, si recavano sulla sua tomba che onoravano con delle fumigazioni, faccendone sette volte il giro, ripetendo: “Lalla Touhamia, insegnami l’arte del decoro affinché il mio tappeto sia come un albero fiorito; se riuscirò, brucerò per te due ceri”.
Altre leggende, preziosamente conservate dalle tessitrici, arricchivano la cultura popolare. Si raccontavano spesso intorno ai telai e miravano principalmente a stimolare l’interesse dei bambini verso dei personaggi mistici, modelli di virtù e qualità umane. Quando un apprendista raggiungeva il rango di “maâlma” (maestra tessitrice esperta), la tradizione voleva che offrisse a quella che l’aveva iniziata un “caftano” e una “sebniya” (foulard di seta). Questo particolare momento era anche l’occasione di un festa alla quale erano invitate “maâlma”, amiche, operaie e apprendiste.
Il montaggio del telaio o la confezione del primo tappeto della nuova tessitrice era caratterizzato da alcuni riti: in primo luogo, la madre della tessitrice collocava delle monetine (per attirare le buone influenze) vicino a due picchetti piantati per terra che servivano come orditoio per preparare i fili d’ordito. Durante il movimento della giovane tessitrice tra i due picchetti, le donne cantavano dei “youyou”, suonavano il tamburino, offrivano del latte e dei datteri alle assistenti. Dei ceri erano accesi ad ambo le parti dei due montanti del telaio. Delle piante aromatiche venivano bruciate. Nella parte alta del telaio, erano appesi diversi oggetti: un amuleto contro il malocchio, un fazzoletto riempito di lana, un baccello contenente cinque fave, un ferro di cavallo e un piccolo sacchetto in tessuto che conteneva un po’ d’allume, del benzoino e del “harmala”.